venerdì 14 marzo 2014

Il sorriso e il riso nell’infanzia

L’evoluzione delle espressioni mimiche del sorriso e del riso è molto significativa, anche per lo sviluppo del senso dell’umorismo ( Ceccarelli, 1988). Fin dai primi giorni di vita e già nelle prime settimane, è stata osservata la presenza del comportamento del sorriso. Naturalmente non si tratta di una vera e propria risposta all’umorismo, ma è il risultato di un’attività spontanea del SNC durante il sonno. Versi il 2° anno di vita compare un fatto nuovo: “il far finta che”; questa è una procedura molto importante per coniugare realtà e fantasia. ( Il clown utilizza quasi sempre questo simpatico gioco, che gli permette di inventarsi storie e situazioni fantasiose). Questo comportamento è chiamato gioco simbolico. Il fatto che i bambini ridano sovente durante il gioco simbolico, fa pensare che esista un divertimento legato al manipolare le immagini in questo modo, poiché l’oggetto fantastico (es. dito) è associato all’oggetto reale (es. spazzolino) solo nella mente del fanciullo. Il processo in questione viene chiamato assimilazione fantastica.
Questo argomento è stato ampliamente trattato dallo psicologo Piaget, il quale afferma:

“Il gioco simbolico segna senza dubbio l’apogeo del gioco infantile… costretto ad adattarsi senza sosta ad un mondo sociale di grandi, i cui interessi e regole gli restano estranei, e ad un mondo fisico che afferra ancora male, il bambino non riesce come noi a soddisfare i bisogni affettivi ed anche intellettuali del suo io in questi adattamenti, che, per gli adulti, sono più o meno completi, ma rimangono per lui tanto più incompiuti quanto più è in tenera età. È dunque indispensabile al suo equilibrio affettivo ed intellettuale ch’egli possa disporre di un settore d’attività la cui motivazione sia l’assimilazione del reale all’io…: tale è il gioco…”

sabato 8 marzo 2014

L’umorismo nei bambini

Nel suo saggio sul motto di spirito, Freud (1905) afferma: “I bambini non hanno il senso della comicità”. una tale affermazione può apparire molto sorprendente se si pensa che l’autore sia proprio lo studioso che ebbe l’attenzione e l’acutezza di riconoscere l’esistenza della sessualità infantile. Si rimane quindi perplessi a credere che Freud abbia negato l’esistenza della comicità. In realtà, egli non intendeva affermare che il bambino non fosse capace di ridere e sorridere in modo umoristico ma, precisamente, che questo avvenisse con caratteristiche marcatamente diverse da quanto accade nell’adulto. Del resto, come altri aspetti della personalità, il senso dell’umorismo ha una propria maturazione ed evoluzione.
Nell’età evolutiva si attraversano delle ampie trasformazioni nelle abilità cognitive, nelle motivazioni e nelle interazioni sociali, che determinano ed influenzano anche l’apprezzamento e la capacità di fare dell’umorismo.
Parlare di limitazione del senso del comico nel bambino, volendosi riferire alla qualità delle occasioni di comicità, può comportare un equivoco legato al paragonare l’orizzonte delle esperienze del bambino a quelle dell’adulto. È vero, infatti, che l’adulto ha più orizzonti a sua disposizione, ma è anche vero che essi sono intrisi di così tanti elementi morali e sociali da impedire il distacco, la trasfigurazione fantastica, che è alla base dell’apprezzamento del comico.
Anche una semplice osservazione empirica in un gruppo di bambini ci mostra come le occasioni di riso siano non solo numerose ma anche varie. Probabilmente, gli stimoli che producono il riso e il sorriso non paiono all’occhio dell’adulto stimoli umoristici ma, d’altra parte, sui gusti umoristici non si discute. Anche tra gli adulti c’è chi preferisce un genere, piuttosto che un altro.
Se l’incongruità è sempre presente nelle produzioni umoristiche degli adulti, non tutto ciò che è incongruo risulta umoristico. Questo è vero soprattutto nei bambini molto piccoli, per i quali la percezione d’incongruità può con più probabilità causare anche solo interesse e curiosità, oppure ansia e paura: una maschera di carnevale, strana e grottesca, che può divertire un adulto, è facile che renda perplesso, se non spaventato, un bambino piccolo.
L’umorismo è stato argomento trattato e discusso da filoni e letterati d’ogni tempo. Il celebre saggio Il riso in cui il filosofo Henry Bergson aveva cercato di interpretare unitariamente le varie forme del comico, distinguendo nel riso “ un lieve castigo sociale”contro gli automatismi che bloccano la fluidità del vivente, era stato pubblicato nel 1900 sulla Revue de Paris. Il discorso sull’umorismo era di moda in quegli anni. Benedetto Croce lo aveva già sfiorato nel 1903. meritano, inoltre, di essere citati, con l’esplicita sottolineatura a favore del siciliano Pirandello, anche altri autori che hanno trattato il tema  dell’umorismo: Shakespeare, Goethe, Jean Paul Richter, Thackeray, Dickens, Heine, Manzoni, Twain, Bergson.
Una suggestiva immagine che ci offre Pirandello al termine del suo lavoro e che fornisce all’umorista un’affascinante intuizione, è la seguente:

L’artista ordinario bada al corpo solamente, l’umorista bada al corpo e all’ombra, e talvolta più all’ombra che al corpo; nota tutti gli scherzi di quest’ombra, com’essa ora si allunghi e ora s’intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto non la calcola e non se ne cura …




Ridere e sorridere

Il dizionario della lingua italiana, alla voce “ridere” sentenzia: ”Mostrare allegrezza, specialmente spontanea e improvvisa, con particolare contrazione e increspamento dei muscoli della faccia ed emissione di suoni caratteristici”.
Questa spiegazione, in realtà, non aumenta di molto le nostre conoscenze. Possiamo allora considerare quelli che sono i due poli all’interno dei quali il ridere si manifesta: la risata e il sorriso.
 Ma che cos’è la risata? È l’elemento fondamentale del ridere. Essa è formata da una serie regolare di brevi monosillabi di timbro vocalico che, solitamente, sono rappresentati graficamente con: Ah – Ah, Eh – Eh, Ih – Ih, Oh – Oh, Uh – Uh.
Sa tratta di parole monosillabiche che fanno parte del vocabolario universale dell’uomo e che sono prodotte e riconosciute da tutti, indipendentemente dalla cultura (quindi dalla lingua) di chi le utilizza.
La risata costituisce, pertanto, una forma istintiva di comportamento geneticamente programmato. Ridendo vengono emessi dei suoni che manifestano emozioni provenienti dalla profondità biologica dell’individuo. La risata può essere considerata una funzione comunicativa bivalente. Infatti, può costituire sia un collante della relazione con l’altro sia un’arma in grado di valorizzare l’altro, umiliandolo.
Essa è una lingua misteriosa e universale, che costituisce una risposta inconscia ai diversi condizionamenti sociali e linguistici.
Dal punto di vista evolutivo filogenetico, la risata sembra rappresentare “un’antica vestigia vocale
Che ancora si mantiene e convive con il livello attuale del linguaggio verbale” (R. Provine).
È un gesto bio-psicologico, nato prima della parola, che l’uomo condivide, ma solo in parte, con i primati a lui più prossimi.
La risata viene anche considerata come l’esito finale di una serie di eventi, azioni, comportamenti espressi con discorsi, battute, disegni, rappresentazioni e altro che, volontariamente o meno, possono essere percepiti come ridicoli.
Abbiamo detto che la risata, nella sua espressione esterna, è basata sulla emissione di aria modulata in modi differenti a seconda del tipo di risata espressa. Tale emissione di aria produce un suono/rumore che è caratteristico di ogni personale modo di ridere. Ridere, tra l’altro, è più simile a un verso o un richiamo animale piuttosto che a un atto linguistico.
L’influenza sul comportamento umano del particolare tipo di suono emesso con la risata, sembrerebbe fare optare per la presenza (non accertata, ma solo ipotizzata) di un “rilevatore neurologico acustico” deputato a specifiche modalità di vocalizzazione. Il suono della risata consiste in una serie di note ilari di timbro vocalico e della durata di circa un sedicesimo di secondo regolarmente intervallata tra loro. Il loro tono va solitamente decrescendo con una riduzione graduale della sua intensità sonora quale conseguenza, a livello fisiologico, della riduzione dell’aria polmonare disponibile da parte di chi ride. La risata è costituita da note e suoni vocalici preceduti e seguiti da un lieve “sospiro”.
Ciò che permette di identificare l’emissione d’aria come risata sono le note vocali emesse e lo spazio che le separa.
La risata è in genere costituita da tratti stereotipati anche se non in maniera rigida: la maggior parte degli individui, infatti, ride in modo simile, ma non identico.

Inoltre, non è possibile ridere in maniera scollegata dal contesto e dalla personalità di chi ride. Un aspetto particolare e caratteristico della risata è proprio costituito dal suo essere innata e insita in ciascun individuo con l’intrinseca capacità di generarne altre (contagiosità della risata).