Nel
suo saggio sul motto di spirito, Freud (1905) afferma: “I bambini non hanno il
senso della comicità”. una tale affermazione può apparire molto sorprendente se
si pensa che l’autore sia proprio lo studioso che ebbe l’attenzione e
l’acutezza di riconoscere l’esistenza della sessualità infantile. Si rimane
quindi perplessi a credere che Freud abbia negato l’esistenza della comicità.
In realtà, egli non intendeva affermare che il bambino non fosse capace di
ridere e sorridere in modo umoristico ma, precisamente, che questo avvenisse
con caratteristiche marcatamente diverse da quanto accade nell’adulto. Del
resto, come altri aspetti della personalità, il senso dell’umorismo ha una
propria maturazione ed evoluzione.
Nell’età
evolutiva si attraversano delle ampie trasformazioni nelle abilità cognitive,
nelle motivazioni e nelle interazioni sociali, che determinano ed influenzano
anche l’apprezzamento e la capacità di fare dell’umorismo.
Parlare
di limitazione del senso del comico nel bambino, volendosi riferire alla
qualità delle occasioni di comicità, può comportare un equivoco legato al
paragonare l’orizzonte delle esperienze del bambino a quelle dell’adulto. È
vero, infatti, che l’adulto ha più orizzonti a sua disposizione, ma è anche
vero che essi sono intrisi di così tanti elementi morali e sociali da impedire
il distacco, la trasfigurazione fantastica, che è alla base dell’apprezzamento
del comico.
Anche
una semplice osservazione empirica in un gruppo di bambini ci mostra come le
occasioni di riso siano non solo numerose ma anche varie. Probabilmente, gli
stimoli che producono il riso e il sorriso non paiono all’occhio dell’adulto
stimoli umoristici ma, d’altra parte, sui gusti umoristici non si discute.
Anche tra gli adulti c’è chi preferisce un genere, piuttosto che un altro.
Se
l’incongruità è sempre presente nelle produzioni umoristiche degli adulti, non
tutto ciò che è incongruo risulta umoristico. Questo è vero soprattutto nei
bambini molto piccoli, per i quali la percezione d’incongruità può con più
probabilità causare anche solo interesse e curiosità, oppure ansia e paura: una
maschera di carnevale, strana e grottesca, che può divertire un adulto, è
facile che renda perplesso, se non spaventato, un bambino piccolo.
L’umorismo
è stato argomento trattato e discusso da filoni e letterati d’ogni tempo. Il
celebre saggio Il riso in cui il
filosofo Henry Bergson aveva cercato di interpretare unitariamente le varie
forme del comico, distinguendo nel riso “ un lieve castigo sociale”contro gli
automatismi che bloccano la fluidità del vivente, era stato pubblicato nel 1900
sulla Revue de Paris. Il discorso
sull’umorismo era di moda in quegli anni. Benedetto Croce lo aveva già sfiorato
nel 1903. meritano, inoltre, di essere citati, con l’esplicita sottolineatura a
favore del siciliano Pirandello, anche altri autori che hanno trattato il
tema dell’umorismo: Shakespeare, Goethe,
Jean Paul Richter, Thackeray, Dickens, Heine, Manzoni, Twain, Bergson.
Una
suggestiva immagine che ci offre Pirandello al termine del suo lavoro e che
fornisce all’umorista un’affascinante intuizione, è la seguente:
L’artista ordinario bada al corpo
solamente, l’umorista bada al corpo e all’ombra, e talvolta più all’ombra che
al corpo; nota tutti gli scherzi di quest’ombra, com’essa ora si allunghi e ora
s’intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto non la calcola e non se
ne cura …
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