Oggi la gente ha
bisogno di ridere, di positività, di speranza. E chi meglio di un clown può
portare la missione della gioia?
Perché un clown?
È una moda, una tendenza? No! L’idea
iniziale è stata quella di unire un bel po’ di gente colorata, allegra e
soprattutto pronta all' amicizia con il suo prossimo positivamente cioè senza
pregiudizi e giudizi. Tutti hanno bisogno di ridere per lasciare da parte i
pensieri molesti e le preoccupazioni almeno per un po’. E se chi sta bene ha
bisogno di ridere e rilassarsi, a maggior ragione ne ha bisogno chi sta male.
Il malato ha bisogno di non pensare alla sua malattia, di distrarsi. È nata
così l’idea del clown da portare in ospedale e non solo; il clown va ovunque ci
sia sofferenza. Il clown di corsia è un personaggio colorato, preparato
all’improvvisazione come un attore, ma non è solo un attore o un circense: è
l’amico di tutti bambini e adulti.
Il clown ha il
compito di spostare l’attenzione del degente dalla malattia e di creare un
cambiamento positivo di atmosfera in un luogo di sofferenza.
Il clown si
presenta in reparto con un “personaggio” che ha una sua camminata, una sua
voce, un suo “tormentone” e che permette al volontario di esprimersi con
libertà, senza imbarazzo e mantenendosi in un certo qual senso distaccato dal
dolore che vede intorno a sé.
Il clown è un
grande strumento di felicità, di gioia: il naso rosso apre le porte, è una maschera piccola
e magica, toglie le barriere, crea una confidenza immediata, fa sorridere,
incuriosisce la gente, semplifica le comunicazioni.
Bisogna
ammettere che, il film in cui l'attore Robin Williams si cala nella parte di Patch Adams, ha favorito
notevolmente la diffusione dell' importanza della clown-terapia.
Il clown è la
chiave per aprire la porta delle relazioni e per comunicare in maniera aperta e
immediata con il malato in ospedale, con i suoi parenti, con il personale
medico e ospedaliero, interagisce con la gente in strada...
A proposito
delle relazioni che legano il paziente con tutte le persone che ruotano attorno
a lui, è significativo l’apporto di Anna Freud che nel suo lavoro Il trattamento psicoanalitico dei bambini
afferma:
“Lavorando con un adulto dobbiamo limitarci
ad aiutarlo ad adattarsi al suo ambiente… non è certo nelle nostre intenzioni,
e del resto non sarebbe neanche in nostro potere, trasformare il suo ambiente
in base alle sue esigenze. Con un bambino invece possiamo farlo senza grandi
difficoltà. Le necessità dei bambini sono più semplici e più facili da
accertare e da soddisfare… così facendo, tentando cioè di adattare l’ambiente
al bambino, gli facilitiamo il processo di adattamento”.
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