giovedì 19 giugno 2014
venerdì 6 giugno 2014
LA FISIOLOGIA DELLA RISATA
Attraverso i
principali sensi, l’udito e la vista, il cervello invia uno stimolo risorio,
cioè una
situazione che
spinge al riso; questo stimolo colpisce quella zona del cervello deputata a
riconoscere
situazioni simili a questa e scatenare, in risposta, il riso.
In questo modo
dal talamo e dai nuclei lenticolari e caudali del cervello parte l’impulso del
riso che arriva
ai nervi facciali, i quali stimolano a loro volta i muscoli risorio e
zigomatico.
Più è forte
l’impulso, più questo arriva fino al diaframma e ai muscoli dell’addome.
Quando la risata
cessa, inizia un piacevole e benefico stato di rilassamento.
Ma nello
specifico, anatomicamente e fisiologicamente cosa provoca una risata?
strutture, il
limbo e l’ippocampo in cui si trovano i circuiti legati alle emozioni. Oltre a
questi circuiti,
si attivano i nuclei grigi della base encefalica e il corpo striato, ma è il
talamo che
sovrintende alla risata come centro sensoriale, mentre il corpo striato induce
le reazioni
motorie. Gli stimoli del riso e del pianto hanno origini simili e i segnali di
inizio
di una fragorosa
risata, così come di un pianto dirotto, partono da una stessa zona
cerebrale.
ORMONI: il riso
fa aumentare la produzione di quegli ormoni, quali l’adrenalina e la
dopamina, che
hanno il compito di liberare le nostre morfine naturali: endorfine,
encefaline e
simili. Le endorfine provocano una diminuzione del dolore e della tensione,
permettendo il
raggiungimento di uno stato di relax e tranquillità. Le encefaline sembrano
esaltare il
sistema immunitario, aiutandolo a meglio combattere le malattie.
MUSCOLATURA:
quando si ride parte della muscolatura, soprattutto a livello del torace
e degli arti
superiori, alternativamente si contrae e si rilassa e innesca una ginnastica
addominale che
migliora le funzioni del fegato e dell’intestino (ridere equivale a un buon
jogging fatto
rimanendo fermi). Solo col riso muoviamo alcuni muscoli del corpo e
soprattutto del
viso. Quando il cervello invia il messaggio “ridi”, ben quindici muscoli del
viso vengono
attivati dal segnale(Il muscolo risorio del Santorini, situato lateralmente
alle
labbra che
contraendosi fa ritrarre la bocca e il grande zigomatico provocano fisicamente
la risata) La
risata si riflette dall’espressione facciale ai muscoli del torace e
dell’addome
(le spalle e il
torace si sollevano aritmicamente) sino agli sfinteri. Non a caso dopo una
risata a
crepapelle si sentono i muscoli della pancia doloranti, come pure le costole.
RESPIRAZIONE: Il
primo beneficio provocato da una risata lo riceve la respirazione, che
grazie ad essa
diventa più profonda. L’aria dei polmoni viene rinnovata attraverso fasi di
espirazione e
inspirazione tre volte più efficaci che in stato di riposo. Questo favorisce
l’eliminazione
dell’acido lattico, una sostanza tossica per il nostro organismo, con una
sensazione di
minor stanchezza. Le alterazioni del ritmo respiratorio intervengono
sull’ossigenazione
del sangue. La respirazione, inoltre, esercita e rilassa la muscolatura
toracica e
innesca una ginnastica addominale che migliora le funzioni del fegato e
dell’intestino.
Un sorriso per stare bene
Ci sono bambini che si riempiono le tasche
di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la
strada di casa anche di notte, alla luce della luna.
Ma ci son bambini che non riescono a far
provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia
per tornare indietro.
E’ una traccia molto fragile e bastano le
formiche a cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più tornare
a casa”.
(A. Canevaro)
Questo è ciò che ognuno dovrebbe tenere presente, i bambini
hanno sempre bisogno di un filo che li colleghi costantemente con la propria
casa, la propria famiglia, tutto ciò che hanno di sicuro.
E cosa, meglio di un sorriso e una risata, li può fare sentire
a casa?
Il Clown
Oggi la gente ha
bisogno di ridere, di positività, di speranza. E chi meglio di un clown può
portare la missione della gioia?
Perché un clown?
È una moda, una tendenza? No! L’idea
iniziale è stata quella di unire un bel po’ di gente colorata, allegra e
soprattutto pronta all' amicizia con il suo prossimo positivamente cioè senza
pregiudizi e giudizi. Tutti hanno bisogno di ridere per lasciare da parte i
pensieri molesti e le preoccupazioni almeno per un po’. E se chi sta bene ha
bisogno di ridere e rilassarsi, a maggior ragione ne ha bisogno chi sta male.
Il malato ha bisogno di non pensare alla sua malattia, di distrarsi. È nata
così l’idea del clown da portare in ospedale e non solo; il clown va ovunque ci
sia sofferenza. Il clown di corsia è un personaggio colorato, preparato
all’improvvisazione come un attore, ma non è solo un attore o un circense: è
l’amico di tutti bambini e adulti.
Il clown ha il
compito di spostare l’attenzione del degente dalla malattia e di creare un
cambiamento positivo di atmosfera in un luogo di sofferenza.
Il clown si
presenta in reparto con un “personaggio” che ha una sua camminata, una sua
voce, un suo “tormentone” e che permette al volontario di esprimersi con
libertà, senza imbarazzo e mantenendosi in un certo qual senso distaccato dal
dolore che vede intorno a sé.
Il clown è un
grande strumento di felicità, di gioia: il naso rosso apre le porte, è una maschera piccola
e magica, toglie le barriere, crea una confidenza immediata, fa sorridere,
incuriosisce la gente, semplifica le comunicazioni.
Bisogna
ammettere che, il film in cui l'attore Robin Williams si cala nella parte di Patch Adams, ha favorito
notevolmente la diffusione dell' importanza della clown-terapia.
Il clown è la
chiave per aprire la porta delle relazioni e per comunicare in maniera aperta e
immediata con il malato in ospedale, con i suoi parenti, con il personale
medico e ospedaliero, interagisce con la gente in strada...
A proposito
delle relazioni che legano il paziente con tutte le persone che ruotano attorno
a lui, è significativo l’apporto di Anna Freud che nel suo lavoro Il trattamento psicoanalitico dei bambini
afferma:
“Lavorando con un adulto dobbiamo limitarci
ad aiutarlo ad adattarsi al suo ambiente… non è certo nelle nostre intenzioni,
e del resto non sarebbe neanche in nostro potere, trasformare il suo ambiente
in base alle sue esigenze. Con un bambino invece possiamo farlo senza grandi
difficoltà. Le necessità dei bambini sono più semplici e più facili da
accertare e da soddisfare… così facendo, tentando cioè di adattare l’ambiente
al bambino, gli facilitiamo il processo di adattamento”.
venerdì 14 marzo 2014
Il sorriso e il riso nell’infanzia
L’evoluzione
delle espressioni mimiche del sorriso e del riso è molto significativa, anche
per lo sviluppo del senso dell’umorismo ( Ceccarelli, 1988). Fin dai primi
giorni di vita e già nelle prime settimane, è stata osservata la presenza del
comportamento del sorriso. Naturalmente non si tratta di una vera e propria
risposta all’umorismo, ma è il risultato di un’attività spontanea del SNC
durante il sonno. Versi il 2° anno di vita compare un fatto nuovo: “il far
finta che”; questa è una procedura molto importante per coniugare realtà e
fantasia. ( Il clown utilizza quasi sempre questo simpatico gioco, che gli
permette di inventarsi storie e situazioni fantasiose). Questo comportamento è
chiamato gioco simbolico. Il fatto che i bambini ridano sovente durante il
gioco simbolico, fa pensare che esista un divertimento legato al manipolare le
immagini in questo modo, poiché l’oggetto fantastico (es. dito) è associato
all’oggetto reale (es. spazzolino) solo nella mente del fanciullo. Il processo
in questione viene chiamato assimilazione fantastica.
Questo
argomento è stato ampliamente trattato dallo psicologo Piaget, il quale
afferma:
“Il gioco simbolico segna senza
dubbio l’apogeo del gioco infantile… costretto ad adattarsi senza sosta ad un
mondo sociale di grandi, i cui interessi e regole gli restano estranei, e ad un
mondo fisico che afferra ancora male, il bambino non riesce come noi a
soddisfare i bisogni affettivi ed anche intellettuali del suo io in questi
adattamenti, che, per gli adulti, sono più o meno completi, ma rimangono per
lui tanto più incompiuti quanto più è in tenera età. È dunque indispensabile al
suo equilibrio affettivo ed intellettuale ch’egli possa disporre di un settore
d’attività la cui motivazione sia l’assimilazione del reale all’io…: tale è il
gioco…”
sabato 8 marzo 2014
L’umorismo nei bambini
Nel
suo saggio sul motto di spirito, Freud (1905) afferma: “I bambini non hanno il
senso della comicità”. una tale affermazione può apparire molto sorprendente se
si pensa che l’autore sia proprio lo studioso che ebbe l’attenzione e
l’acutezza di riconoscere l’esistenza della sessualità infantile. Si rimane
quindi perplessi a credere che Freud abbia negato l’esistenza della comicità.
In realtà, egli non intendeva affermare che il bambino non fosse capace di
ridere e sorridere in modo umoristico ma, precisamente, che questo avvenisse
con caratteristiche marcatamente diverse da quanto accade nell’adulto. Del
resto, come altri aspetti della personalità, il senso dell’umorismo ha una
propria maturazione ed evoluzione.
Nell’età
evolutiva si attraversano delle ampie trasformazioni nelle abilità cognitive,
nelle motivazioni e nelle interazioni sociali, che determinano ed influenzano
anche l’apprezzamento e la capacità di fare dell’umorismo.
Parlare
di limitazione del senso del comico nel bambino, volendosi riferire alla
qualità delle occasioni di comicità, può comportare un equivoco legato al
paragonare l’orizzonte delle esperienze del bambino a quelle dell’adulto. È
vero, infatti, che l’adulto ha più orizzonti a sua disposizione, ma è anche
vero che essi sono intrisi di così tanti elementi morali e sociali da impedire
il distacco, la trasfigurazione fantastica, che è alla base dell’apprezzamento
del comico.
Anche
una semplice osservazione empirica in un gruppo di bambini ci mostra come le
occasioni di riso siano non solo numerose ma anche varie. Probabilmente, gli
stimoli che producono il riso e il sorriso non paiono all’occhio dell’adulto
stimoli umoristici ma, d’altra parte, sui gusti umoristici non si discute.
Anche tra gli adulti c’è chi preferisce un genere, piuttosto che un altro.
Se
l’incongruità è sempre presente nelle produzioni umoristiche degli adulti, non
tutto ciò che è incongruo risulta umoristico. Questo è vero soprattutto nei
bambini molto piccoli, per i quali la percezione d’incongruità può con più
probabilità causare anche solo interesse e curiosità, oppure ansia e paura: una
maschera di carnevale, strana e grottesca, che può divertire un adulto, è
facile che renda perplesso, se non spaventato, un bambino piccolo.
L’umorismo
è stato argomento trattato e discusso da filoni e letterati d’ogni tempo. Il
celebre saggio Il riso in cui il
filosofo Henry Bergson aveva cercato di interpretare unitariamente le varie
forme del comico, distinguendo nel riso “ un lieve castigo sociale”contro gli
automatismi che bloccano la fluidità del vivente, era stato pubblicato nel 1900
sulla Revue de Paris. Il discorso
sull’umorismo era di moda in quegli anni. Benedetto Croce lo aveva già sfiorato
nel 1903. meritano, inoltre, di essere citati, con l’esplicita sottolineatura a
favore del siciliano Pirandello, anche altri autori che hanno trattato il
tema dell’umorismo: Shakespeare, Goethe,
Jean Paul Richter, Thackeray, Dickens, Heine, Manzoni, Twain, Bergson.
Una
suggestiva immagine che ci offre Pirandello al termine del suo lavoro e che
fornisce all’umorista un’affascinante intuizione, è la seguente:
L’artista ordinario bada al corpo
solamente, l’umorista bada al corpo e all’ombra, e talvolta più all’ombra che
al corpo; nota tutti gli scherzi di quest’ombra, com’essa ora si allunghi e ora
s’intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto non la calcola e non se
ne cura …
Ridere e sorridere
Il
dizionario della lingua italiana, alla voce “ridere” sentenzia: ”Mostrare
allegrezza, specialmente spontanea e improvvisa, con particolare contrazione e
increspamento dei muscoli della faccia ed emissione di suoni caratteristici”.
Questa
spiegazione, in realtà, non aumenta di molto le nostre conoscenze. Possiamo
allora considerare quelli che sono i due poli all’interno dei quali il ridere
si manifesta: la risata e il sorriso.
Ma che cos’è la risata? È l’elemento
fondamentale del ridere. Essa è formata da una serie regolare di brevi
monosillabi di timbro vocalico che, solitamente, sono rappresentati
graficamente con: Ah – Ah, Eh – Eh, Ih – Ih, Oh – Oh, Uh – Uh.
Sa
tratta di parole monosillabiche che fanno parte del vocabolario universale
dell’uomo e che sono prodotte e riconosciute da tutti, indipendentemente dalla
cultura (quindi dalla lingua) di chi le utilizza.
La
risata costituisce, pertanto, una forma istintiva di comportamento geneticamente
programmato. Ridendo vengono emessi dei suoni che manifestano emozioni
provenienti dalla profondità biologica dell’individuo. La risata può essere
considerata una funzione comunicativa bivalente. Infatti, può costituire sia un
collante della relazione con l’altro sia un’arma in grado di valorizzare
l’altro, umiliandolo.
Essa
è una lingua misteriosa e universale, che costituisce una risposta inconscia ai
diversi condizionamenti sociali e linguistici.
Dal
punto di vista evolutivo filogenetico, la risata sembra rappresentare
“un’antica vestigia vocale
È
un gesto bio-psicologico, nato prima della parola, che l’uomo condivide, ma
solo in parte, con i primati a lui più prossimi.
La
risata viene anche considerata come l’esito finale di una serie di eventi,
azioni, comportamenti espressi con discorsi, battute, disegni, rappresentazioni
e altro che, volontariamente o meno, possono essere percepiti come ridicoli.
Abbiamo
detto che la risata, nella sua espressione esterna, è basata sulla emissione di
aria modulata in modi differenti a seconda del tipo di risata espressa. Tale
emissione di aria produce un suono/rumore che è caratteristico di ogni
personale modo di ridere. Ridere, tra l’altro, è più simile a un verso o un
richiamo animale piuttosto che a un atto linguistico.
L’influenza
sul comportamento umano del particolare tipo di suono emesso con la risata,
sembrerebbe fare optare per la presenza (non accertata, ma solo ipotizzata) di
un “rilevatore neurologico acustico” deputato a specifiche modalità di
vocalizzazione. Il suono della risata consiste in una serie di note ilari di
timbro vocalico e della durata di circa un sedicesimo di secondo regolarmente
intervallata tra loro. Il loro tono va solitamente decrescendo con una
riduzione graduale della sua intensità sonora quale conseguenza, a livello
fisiologico, della riduzione dell’aria polmonare disponibile da parte di chi
ride. La risata è costituita da note e suoni vocalici preceduti e seguiti da un
lieve “sospiro”.
Ciò
che permette di identificare l’emissione d’aria come risata sono le note vocali
emesse e lo spazio che le separa.
La
risata è in genere costituita da tratti stereotipati anche se non in maniera
rigida: la maggior parte degli individui, infatti, ride in modo simile, ma non
identico.
Inoltre,
non è possibile ridere in maniera scollegata dal contesto e dalla personalità
di chi ride. Un aspetto particolare e caratteristico della risata è proprio
costituito dal suo essere innata e insita in ciascun individuo con l’intrinseca
capacità di generarne altre (contagiosità della risata).
giovedì 20 febbraio 2014
Dei piccoli eroi
In Pennsylvania, negli Stati Uniti, c’è un’associazione
che si occupa di recuperare i gatti abbandonati e maltrattati e di
riavvicinarli all’uomo, per farli poi adottare a chi se ne vorrà prendere cura
per davvero. I piccoli animaletti vengono raccolti in una specie di canile per
gatti disperati che non hanno più fiducia negli esseri umani. Come potremmo
dargli torto?
Ma come fa l’associazione, vista tale sfiducia da
parte dei gattini, a recuperare gli animali? Beh, la risposta è semplice: gli
affiancano quello che di meglio l’umanità può offrire…..I BAMBINI!
i bambini che partecipano a questo programma
delicato di acquisto di fiducia devono semplicemente sedersi tranquilli in
apposite stanze con i gattini a leggere ad alta voce libri per l’infanzia. Pian
piano i gatti si abituano al sono ritmico della voce e tornano ad aver fiducia,
si avvicinano e cominciano a fare amicizia e ricevere coccole.
Vi chiederete; tutto ciò funziona?
A detta dell’inventore di questo metodo, Kristi
Rodriguez, la risposta è Sì: i gatti tornano ad essere socievoli con l’uomo e,
cosa altrettanto positiva, anche per i ragazzini questo metodo appare
vantaggioso in quanto si esercitano migliorando le loro capacità di lettura,
aumentando così anche la loro autostima.
martedì 18 febbraio 2014
Animali con il "naso rosso"
La Pet Therapy, ovvero l’uso terapeutico degli animali da
compagnia, ha messo in luce un nuovo rapporto uomo-animale. Essa, viene anche
definita "terapia dolce", proprio in virtù degli effetti benefici che
possono essere riscontrati sia sotto il profilo psico-emozionale che fisico nei
pazienti ai quali viene praticata.
Il rapporto che si viene ad instaurare tra il soggetto e
l’animale intende sostenere lo sviluppo del versante
affettivo-emozionale, di quello ludico e di quello psicomotorio. Infatti
queste aree risultano compromesse a differenti gradi nelle persone autistiche.
La relazione che si crea tra il soggetto autistico e l’operatore di Pet Therapy è spontanea e flessibile ma allo stesso tempo anche programmata, tesa al raggiungimento degli obiettivi della terapia rispettando sempre le peculiarità del paziente. L’animale si inserisce all’interno di questa relazione come "mediatore emozionale" e come "catalizzatore" dei processi socio-relazionali. La Pet Therapy non è un tipo di terapia invasiva ed esclusiva, ma si inserisce all’interno di un più ampio progetto psicoeducativo già in atto, secondo un’ottica di integrazione individualizzata delle diverse strategie.
La relazione che si crea tra il soggetto autistico e l’operatore di Pet Therapy è spontanea e flessibile ma allo stesso tempo anche programmata, tesa al raggiungimento degli obiettivi della terapia rispettando sempre le peculiarità del paziente. L’animale si inserisce all’interno di questa relazione come "mediatore emozionale" e come "catalizzatore" dei processi socio-relazionali. La Pet Therapy non è un tipo di terapia invasiva ed esclusiva, ma si inserisce all’interno di un più ampio progetto psicoeducativo già in atto, secondo un’ottica di integrazione individualizzata delle diverse strategie.
La dolcezza a quattro zampe
So che questo video può sembrare lungo. ma spero che dedicherete quattro minuti del vostro tempo per vedere ciò che mostra questo filmato.
Il cane ripreso è una femmina di nome Himalaya. Lei si rifiuta di lasciare il bambino che non vuole giocare con lei: il piccolo Hernàn di Buenos Aires affetto dalla sindrome di Down.
Himalaya nel persistere si rivela delicata e dolce ed Hernàn finisce per darle quel che sembra un abbraccio intorno al minuto 3:12
Fondazione Città della Speranza
Nella periferia industriale di Padova, la differenza tra
il rassegnarsi e il reagire di fronte alle malattie dei bambini, oncologiche ma
non solo, ha preso forma e sostanza ben precise: una torre con due “ali”
protese verso il cielo, quasi a disegnare una colonna vertebrale. L’edificio di
dieci piani progettato da Paolo Portoghesi è la sede dell’Istituto di ricerca
pediatrica della Fondazione Città della Speranza. Un nome che nelle intenzioni
dei fondatori rappresenta la certezza del presente, una sfida quotidiana perché
attraverso la ricerca migliorino ulteriormente le possibilità di guarigione.
Vale davvero la pena raccontare la sua
storia. Il punto di partenza, come spesso accade, è una vicenda personale.
Vent’anni fa Franco Masello, un imprenditore vicentino, perde un nipotino a
causa di una leucemia. Durante le visite al piccolo Massimo, ricoverato nel
reparto di Oncoematologia pediatrica di Padova, Masello si rende conto della
difficile situazione della struttura. Il bambino non ce la fa. Ma lo zio decide
di non voltare le spalle di fronte a quanto ha visto e il 16 dicembre 1994
assieme a Zilio Virginio, Carlo Mazzocco e al professor Zanesco dà vita alla
Fondazione “Città della Speranza”: in ricordo di Massimo e per dotare
l’ospedale di Padova di strutture adeguate. Per la loro iniziativa i fondatori
prendono ispirazione da “City of Hope” , una fondazione statunitense della
quale apprezzano le modalità operative. In particolare, l’attenzione alla
trasparenza, alla gestione del denaro e alla concretezza. Nel giro di quattro
anni, grazie ad una raccolta di fondi capillare, la Fondazione realizza il
nuovo reparto di Oncoematologia pediatrica, il laboratorio di ricerca e il day
hospital. Dall’anno successivo(siamo nel 1999), nasce l’impegno a destinare
almeno un milione di euro all’anno, per dieci anni, a favore della ricerca
scientifica. A decidere quali siano i progetti più meritevoli, ci pensa un
Comitato scientifico internazionale con i migliori specialisti dell’Oncoematologia.
E sono più di 100, i progetti già finanziati. Il 2004 segna la svolta: Anna
Maria de Claricini, pediatra milanese originaria di Padova, lascia alla
Fondazione 4 milioni e mezzo di euro in memoria del marito, il professor
Corrado Scarpitti, per la costruzione di un centro di ricerca pediatrico. L’8
giugno del 2012, l’Istituto di ricerca pediatrica viene inaugurato. «La
Fondazione ha raccolto e investito ben oltre 50 milioni di euro finora — dice
con orgoglio Masello — senza nessunissimo interesse, senza un centesimo di
scandalo su soldi “girati” in altro modo. Siamo sicuramente rispettati, perchè
abbiamo fatto e continuiamo a fare». La Fondazione Città della Speranza onlus,
che compie 20 anni, è proprietaria dei terreni e della torre e, per una
questione fiscale, li ha dati in usufrutto alla Fondazione Istituto di ricerca
costituita dalla stessa Fondazione Città della Speranza, da Azienda ospedaliera
e Università di Padova, Fondazione Cariparo, Comune di Padova e Camera di
Commercio.
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